Se Giancarlo Scoppitto non fosse poco più che ventenne e se non mostrasse di possedere le qualità necessarie a pervenire all'espressione artistica, la sua mostra personale allestita al "CentroArteModerna" meriterebbe di passare sotto silenzio, non risultando che l'elaborato grafico pittorico conclusivo d'un diligente allievo d'accademia d'altri tempi che abbia frequentato con "profitto" i corsi di prospettiva, di composizione, di disegno dal vero.
La mostra appare concepita per una prova d'esame e non si dubita che molti e compiacenti "bravo" gli saranno rivolti.
Il giovane pittore ha effettivamente acquisito una notevole capacità disegnativi, specie nella resa prospettica di scorci difficilissimi da eseguirsi e per ciò stesso obbligatori per chi si compiace di eseguire virtuosismi.
Scoppitto ha del disegno una visione "tardorinascimentale", cui ovviamente non corrisponde un senso unitario dello spazio e dell'uomo (ma potremmo dire dello spazio dell'uomo), che nel rinascimento era sintesi di pensiero e di spiritualità.
Il suo disegno descrive l'epidermide della realtà con una freddezza da registratore meccanico. Non fa per lui differenza dipingere una strada affollata, un vaso o un pesce: lo schema disegnativi e prospettico è unico, come del resto uniforme e indifferenziata è la materia pittorica.
E non potrebbe essere diversamente, poiché Scoppitto non proietta sulle cose il suo temperamento di giovane del ventesimo secolo, non esercita scelte, non esprime giudizi.
Avremmo con ciò esaurito un discorso, se non credessimo nelle notevoli capacità di Scoppitto e pertanto non ci premesse di dirgli che la tecnica non equivale al linguaggio artistico.
Ora che di tecnica ne possiede, se la dimentichi e incominci a ragionare con la sua testa e a sentire col suo cuore.
NICOLA MICIELI (Il Tirreno, 31 dicembre 1978)