Giancarlo Scoppitto, benchè molto giovane e promettente, si serve dello strumento classico per entrare di prepotenza nel moderno non riconoscendo antinomie, steccati e rigettando con voluto disprezzo ogni critica che voglia confinarlo nel "sorpassato" nel "già visto". Sia ben chiaro che non voglio togliere alcun merito alle cosiddette avanguardie e nessun valore alla rivoluzione delle altre correnti artistiche che hanno oggettivamente avuto un incontestabile ruolo nella presa di coscienza di un mondo che già agli inizi del novecento stavano mutando irrimediabilmente lo scenario artistico.
La consapevolezza del suo fare lo riempie fino all'orlo e gli da quella sicurezza di sé e del suo operato che lo aiuta ad andare avanti e ad essere ciò che è: un maestro che ha saputo restituire all'arte della pittura la sua antica dignità.
Nel ricondurre tutto all'antica disciplina, Giancarlo fa tesoro degli insegnamenti di suo padre Giovanni, e all'opposto di altri pittori che "scimmiottano" le correnti macchiaole e che hanno prestato il fianco alle ideologie correnti trasformando la storia in cronaca o in fatto meramente sociologico, egli opera facendo tesoro della lezione dei grandi artisti che dal 400 al 600 inversamente portavano l'evento, la cronaca e l'attualità sul piano più complesso e significativo della storia.
Questo atteggiamento che definirei soprattutto etico e morale è il presupposto essenziale della sua pittura che è capace di assorbire tutto anche l'eresia e traslarla su un livello più alto dove il particolare si coniuga con l'insieme e il fluire del tempo si immerge nella immobile eternità.
Questa è sostanzialmente la peculiarità, la cifra artistica del classicismo, la sua assunzione incondizionata di responsabilità che attraversa quasi tremila anni di civiltà e fa un unico corpo con la sapienza antica e la sua immensa capacità di penetrare dentro le cose che riguardano l'uomo nella sua universalità.
Dino Carlesi